Carissima mamma,
mi dispiace infinitamente che non abbia ricevuto le lettere che ti scrissi nei mesi di gennaio e febbraio e che perciò abbia potuto credere a una mia indisposizione, come scrivi nella tua del 27 febbraio, che è giunta molto rapidamente. Certamente io ti ho scritto in questo periodo almeno 6
lettere, che forse a quest’ora ti saranno tutte arrivate. Io ti scrivo ogni 15 giorni almeno, qualche volta ho scritto anche di settimana in settimana. Ho ricevuto l’assicurata il 6 gennaio e il 9 successivo te lo annunziavo. Ho ricevuto qualche settimana fa una lettera di Teresina con una
fotografia dei bambini; risposi immediatamente.
Mi addolora molto questo disordine per le ripercussioni che ha nel tuo spirito. Ma tu non devi sempre pensare alle ipotesi peggiori e crucciarti continuamente. Tu capisci che se stessi male, se mi sentissi indisposto in qualsiasi maniera o grado, ti avvertirei subito, perché penso che non
avvertendoti farei ancora peggio e la notizia improvvisa di una mia malattia diventerebbe ancor piú allarmante per te. Cosí hai torto di pensare che io sia sempre cupo e in preda a chissà quale disperazione. Ma no, ma no. Naturalmente non sto sempre a ballare di gioia e a ridere
continuamente, ma neanche sono sempre cupo e disperato come un corvo appollaiato su un cipresso del cimitero. Sono proprio tranquillo e sereno, come deve essere chi ha la coscienza tranquilla e vede la vita senza illusioni. Proprio mi dispiace che tu sia ossessionata dal pensiero che io mi disperi; se si trattasse di altri che di te dovrei offendermi e ritenermi insultato a sangue.
Caspita, non sono un bambino, ti pare?, che si sia messo nei pasticci inconsideratamente e per leggerezza. Vedi, stavo per eccitarmi e incominciavo a gridare contro di te! Ma, insomma, come posso convincerti che devi mantenerti tranquilla e serena anche tu? Bisogna strapazzarti un po’ per ottenerlo?
Mi dispiace che sia morta zia Nina Corrias. Povera donna. Credo che fosse molto brava, nonostante qualche sua innocente posa di superiorità continentale. E poi, ha certamente contribuito a svecchiare un po’ l’ambiente di Ghilarza, senza paura di urtare pregiudizi, istituzioni e persone. Ti ricordi il primo circolo femminile da lei propugnato? E quando fece seppellire civilmente il suo fratello censore? Che scandali, che brusii! Io ricordo proprio tutto e sebbene molte delle sue iniziative «progressiste» mi facessero ridere alquanto, penso che in fondo si trattava di cose serie e che lei ci metteva un fervore, encomiabile in ogni modo. Si è confessata e comunicata prima di morire? E zio Francesco vive ancora? (Mi pare di ricordare che Giovanna sia morta, ma non ne
sono sicuro). Queste notizie del paese, mi interessano molto. Non devi credere che siano trascurabili e che mi annoino o che si tratti di pettegolezzi. Io sono sempre curioso come un furetto
e anche le piccole cose le apprezzo. D’altronde, cosa vuoi, che a Ghilarza ogni settimana inventino la polvere? Mi interessava anche Corroncu e Brisi Illichidiu e tía Juanna Culamontigu. Erano tipi originali, nella loro specie, piú di tanti altri che andavano per la maggiore e che realmente erano noiosissimi e coi quali non si poteva scambiare altro che complimenti e salamelecchi.
Dunque, concludendo: sto abbastanza bene di salute; non sono cupo per niente e ti faccio tanti, tanti auguri per il prossimo tuo onomastico. Mandami una tua bella fotografia, ma che sia fatta proprio come sei in casa, senza ghingheri, eh? senza civetteria!
Ti abbraccio forte forte
Nino

Carissima Giulia,
ho ricevuto la tua lettera del 26-XII-1927, con la postilla del 24 gennaio e l’unito bigliettino.
Sono stato proprio felice di ricevere queste tue lettere. Ma ero già diventato piú tranquillo da qualche tempo. Sono molto cambiato, in tutto questo tempo. Ho creduto in certi giorni di essere diventato apatico e inerte. Penso oggi di aver sbagliato nell’analisi di me stesso. Cosí non credo neanche piú di essere stato disorientato. Si trattava di crisi di resistenza al nuovo modo di vivere che implacabilmente si imponeva sotto la pressione di tutto l’ambiente carcerario, con le sue norme,
con la sua routine, con le sue privazioni, con le sue necessità, un complesso enorme di piccolissime cose che si succedono meccanicamente per giorni, per mesi, per anni, sempre uguali, sempre con lo stesso ritmo, come i granellini di sabbia di una gigantesca clepsidra. Tutto il mio organismo fisico e psichico si opponeva tenacemente, con ogni sua molecola, all’assorbimento di questo ambiente esteriore, ma ogni tanto bisognava riconoscere che una certa quantità della pressione era riuscita a vincere la resistenza e a modificare una certa zona di me stesso, e allora si verificava una scossa rapida e totale per respingere d’un tratto l’invasore. Oggi, tutto un ciclo di mutamenti si è già svolto,
perché sono giunto alla calma decisione di non oppormi a ciò che è necessario e ineluttabile coi mezzi e nei modi di prima, che erano inefficaci e inetti, ma di dominare e controllare, con un certo
spirito ironico il processo in corso. D’altronde mi sono persuaso che un perfetto filisteo non lo diventerò mai. In ogni momento sarò capace con una scossa di buttar via la pellaccia mezzo di asino e mezzo di pecora che l’ambiente sviluppa sulla vera propria naturale pelle. Forse una cosa
non otterrò mai piú: di ridare alla mia pelle naturale e fisica il colore affumicato. Valia non mi potrà piú chiamare il compagno affumicato. Temo che Delio, nonostante il tuo contributo, sarà ormai piú
affumicato di me! (Protesti?) Sono rimasto, questo inverno, quasi tre mesi senza vedere il sole, altro che in qualche lontano riflesso. La cella riceve una luce che sta di mezzo tra la luce di una cantina e la luce di un acquario.
D’altronde, non devi pensare che la vita mia trascorra cosí monotona e uguale come a prima vista potrebbe sembrare. Una volta presa l’abitudine alla vita dell’acquario e adattato il sensorio a cogliere le impressioni smorzate e crepuscolari che vi fluiscono (sempre ponendosi da una
posizione un po’ ironica), tutto un mondo incomincia a brulicare intorno, con una sua particolare vivacità, con sue leggi peculiari, con un suo corso essenziale. Avviene come quando si getta uno sguardo su un vecchio tronco mezzo disfatto dal tempo e dalle intemperie e poi piano piano si
ferma sempre piú fissamente l’attenzione. Prima si vede solo qualche fungosità umidiccia, con qualche lumacone, stillante bava, che striscia lentamente. Poi si vede, un po’ alla volta tutto un insieme di colonie di piccoli insetti che si muovono e si affaticano, facendo e rifacendo gli stessi
sforzi, lo stesso cammino. Se si conserva la propria posizione estrinseca, se non si diventa un lumacone o una formichina, tutto ciò finisce per interessare e far trascorrere il tempo.
Ogni particolare che riesco a cogliere della tua vita e della vita dei bambini mi offre la possibilità di cercare di elaborare qualche rappresentazione piú vasta. Ma questi elementi sono troppo scarsi e la mia esperienza è stata troppo scarsa. Ancora: i bambini devono mutare troppo rapidamente in questa loro età perché io riesca a seguirli in tutti i movimenti e a darmene una rappresentazione. Certo, in questo devo essere assai disorientato. Ma è inevitabile che sia cosí.
Ti abbraccio teneramente.
Antonio

Carissima Tania,
per una felicissima congiunzione di astri favorevoli, la tua lettera del 20 mi è stato consegnata il 24, insieme alla lettera di Giulia. Ho ammirato molto la tua bravura nelle diagnosi, ma non sono caduto nei sottili lacci della tua furberia letteraria. Non pensi che sarebbe preferibile
esplicare la propria bravura su altri soggetti che non sulla propria persona? (Non per augurare male al prossimo, s’intende, se di prossimo si può parlare in questo caso. Tu hai letto bene e studiato le idee di Tolstoi? Dovresti confermarmi il significato preciso che Tolstoi dà alla nozione evangelica di «prossimo». Mi pare che egli si attenga al significato letterale, etimologico della parola: «chi ti è piú vicino, quelli della tua famiglia, cioè, e, al massimo, quelli del tuo villaggio»). Insomma, non
sei riuscita a cambiarmi le carte in tavola, mettendomi innanzi dimostrativamente la tua bravura di medico, per farmi riflettere meno alle tue condizioni di paziente. Sulla flebite, poi, io mi sono formato una cultura speciale, perché negli ultimi quindici giorni di residenza ad Ustica, ho dovuto ascoltare le lunghe disquisizioni di un vecchio avvocato perugino che ne soffriva e si era fatto arrivare quattro o cinque pubblicazioni in proposito. So che si tratta di un male abbastanza grave e
molto doloroso; tu avrai veramente la pazienza necessaria per curarti bene senza fretta? Spero di sí.
Io posso contribuire a farti aver pazienza, scrivendoti lettere piú lunghe del solito. È un piccolo sforzo che non mi costerà gran che, se tu ti accontenterai del mio chiacchiericcio. Eppoi, eppoi, sono molto più sollevato di prima.
La lettera di Giulia ha determinato in me uno stato d’animo piú tranquillo. Le scriverò a parte, un po’ a lungo, se mi sarà possibile, perché non voglio farle dei rimproveri e non vedo ancora come potrò scriverle a lungo, senza farle dei rimproveri. Ti pare giusto, infatti, che ella non mi
scriva quando sta male o è angosciata? Io penso che, proprio in tali circostanze, dovrebbe scrivermi di piú e piú lungamente. Ma non voglio fare di questa lettera la sezione-rimproveri.
Per farti passare il tempo ti riferirò una piccola discussione «carceraria» svoltasi a pezzi e bocconi. Un tale, che credo sia evangelista o metodista o presbiteriano (mi sono ricordato di lui a proposito del suaccennato «prossimo») era molto indignato perché si lasciavano ancora circolare
per le nostre città quei poveri cinesi che vendono oggettini certamente fabbricati in serie in Germania, ma che dànno l’impressione ai compatrioti di annettersi almeno un pezzettino del folklore cataico. Secondo il nostro evangelista, il pericolo era grande per la omogeneità delle credenze e dei modi di pensare della civiltà occidentale: si tratta, secondo lui, di un innesto dell’idolatria asiatica nel ceppo del cristianesimo europeo. Le piccole immagini del Budda finirebbero con l’esercitare uno speciale fascino che potrebbe essere come un reagente sulla psicologia europea ed esercitare una spinta verso neoformazioni ideologiche totalmente diverse da quella tradizionale. Che un elemento sociale come l’evangelista in parola avesse simili preoccupazioni, era certo molto interessante, anche se tali preoccupazioni avessero origine molto lontana. Non fu difficile però cacciarlo in un ginepraio di idee, senza uscita per lui, facendogli
osservare:
1°. Che l’influenza del buddismo sulla civiltà occidentale ha radici molto piú profonde di quanto sembri, perché durante tutto il Medio Evo, dall’invasione degli arabi fino al 1200 circa, la vita di Budda circolò in Europa come la vita di un martire cristiano, santificato dalla Chiesa, la
quale solo dopo parecchi secoli si accorse dell’errore commesso e sconsacrò il pseudosanto. L’influenza che un tale episodio può avere esercitato in quei tempi, quando l’ideologia religiosa era
vivacissima e costituiva il solo modo di pensare delle moltitudini, è incalcolabile.
2°. Il buddismo non è una idolatria. Da questo punto di vista, se un pericolo c’è, è costituito piuttosto dalla musica e dalla danza importata in Europa dai negri. Questa musica ha veramente conquistato tutto uno strato della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo. Ora è impossibile immaginare che la ripetizione continuata dei gesti fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che l’avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato degli jazz-bands, rimangano senza risultati ideologici; a) Si tratta di un fenomeno enormemente diffuso, che tocca
milioni e milioni di persone, specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano traccie profonde e durature; c) si tratta di fenomeni musicali, cioè di
manifestazioni che si esprimono nel linguaggio piú universale oggi esistente, nel linguaggio che piú rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una civiltà non solo estranea alla nostra, ma
certamente meno complessa di quella asiatica, primitiva ed elementare, cioè facilmente assimilabile e generalizzabile dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico. Insomma il povero evangelista fu convinto, che mentre aveva paura di diventare un asiatico, in realtà egli, senza
accorgersene, stava diventando un negro e che tale processo era terribilmente avanzato, almeno fino alla fase di meticcio. Non so quali risultati siano stati ottenuti: penso però che non sia piú capace di rinunziare al caffè con contorno di jazz e che d’ora innanzi si guarderà piú attentamente nello specchio per sorprendere i pigmenti di colore nel suo sangue.
Cara Tania, ti auguro di ristabilirti bene e presto: ti abbraccio.
Antonio

Carissima Teresina,
ho ricevuto la tua lettera del 30 gennaio e la fotografia dei tuoi bambini. Ti ringrazio e sarò molto contento di ricevere altre tue lettere.
Il peggiore guaio della mia attuale vita è la noia. Queste giornate sempre uguali, queste ore e questi minuti che si succedono con la monotonia di uno stillicidio, hanno finito per corrodermi i nervi. Almeno i primi tre mesi dopo l’arresto furono molto movimentati: sballottato da un estremo
all’altro della penisola, sia pure con molte sofferenze fisiche, non avevo tempo di annoiarmi.
Sempre nuovi spettacoli da osservare, nuovi tipi d’eccezione da catalogare: davvero mi pareva di vivere in una novella fantastica. Ma ormai da piú di un anno sono fermo a Milano, in ozio forzato.
Posso leggere, ma non posso studiare, perché non mi è stato concesso di avere carta e penna a mia disposizione, neppure con tutta la sorveglianza domandata dal capo, dato che passo per essere un terribile individuo, capace di mettere il fuoco ai quattro angoli del paese o giú di lí. La
corrispondenza è la mia piú grande distrazione. Ma pochissima gente mi scrive. Da un mese poi mia cognata è ammalata e non ho neanche piú il colloquio settimanale con lei.
Mi preoccupa molto lo stato d’animo della mamma, d’altronde non so come fare per rassicurarla e consolarla. Vorrei infonderle la convinzione che io sono tranquillissimo, come realmente sono, ma vedo che non riesco. C’è tutta una zona di sentimento e di modi di pensare che
costituisce una specie di abisso tra noi. Per lei il mio incarceramento è una terribile disgrazia alquanto misteriosa nelle sue concatenazioni di cause ed effetti; per me è un episodio della lotta politica che si combatteva e si continuerà a combattere non solo in Italia, ma in tutto il mondo, per
chissà quanto tempo ancora. Io sono rimasto preso, cosí come durante la guerra si poteva cadere prigionieri, sapendo che questo poteva avvenire e che poteva avvenire anche di peggio. Ma temo che anche tu la pensi come la mamma e che queste spiegazioni ti rassomiglino a un indovinello
espresso ancora in una lingua sconosciuta.
Ho osservato a lungo la fotografia, confrontandola con quelle che mi avevi mandato prima.
– (Ho dovuto interrompere la lettera, per farmi fare la barba; non ricordo piú ciò che volevo scrivere e non ho voglia di ripensarci. Sarà per un’altra volta).
Saluti affettuosi a tutti. Ti abbraccio.
Nino

Carissima Tania,
ho ricevuto la tua lettera del 9; ti rispondo all’indirizzo di casa, come augurio che tra giorni possa uscire dall’ospedale e riprendere la vita normale (sempre mantenendo la condizione che sia veramente guarita e abbia ripreso le tue forze).
La cura delle iniezioni va a gonfie vele: proprio stamane ho avuto una testimonianza autentica e irrefutabile di una mia incipiente marcia verso l’obesità, quella del barbiere. Egli mi ha assicurato che il rasoio scorre meglio, perché le guancie si sono alquanto rimpolpate in questo
ultimo tempo. Ciò dovrebbe tagliare la testa al toro, come si dice.
Ho incominciato a mandare fuori dei libri: ho mandato fuori 40 pezzi, finora. Dalla Libreria ho ricevuto il libro del Sée che tu avevi ordinato. Appena potrai riprendere la vita normale, ti indicherò qualche altra pubblicazione da farmi inviare. Veramente avevo deciso, per un pezzo di
non domandare piú nulla, ma non pensavo che siamo all’inizio di un nuovo anno e che dovevano uscire le Prospettive Economiche per il 1928 del prof. Giorgio Mortara e l’Almanacco Letterario Mondadori. Nonostante tutto, non riesco a soffocare il bisogno di seguire, sia pure molto approssimativamente, ciò che succede nel mondo grande e terribile. Carissima Tania, spero di rivederti tra breve. Questa volta potrebbero concederti anche un colloquio visivo, in modo che mi
sia possibile abbracciarti. Potrebbero, se vogliono cautelarsi contro le mie terribili iniziative, ordinare che mi sia fatta una perquisizione personale speciale prima e dopo il colloquio.
Ti abbraccio teneramente
Antonio

Carissima Tania,
ho saputo ieri che stai meglio e che forse potrai abbandonare tra breve la clinica. Sono molto contento della buona notizia, ma insisto perché ti curi senza aver fretta. Non devi illuderti che ormai la buona stagione e il bel tempo siano incominciati: io credo anzi che questo sia a Milano il peggiore periodo dell’anno, per gli improvvisi cambiamenti di temperatura; l’anno scorso ha nevicato per tutto marzo. Come passi il tempo? Hai libri da leggere? Io continuo a farmi fare le iniezioni: oggi farò la 20a; vedi come sono bravo!
Mi è stata annunziata una tua lettera, che non ho però ancora ricevuto. La prima volta che verrai al colloquio devi essere proprio rimessa; voglio vederti in salute, altrimenti andrò terribilmente in collera e domanderò il permesso di tirarti i capelli di sopra la grata.
Ti abbraccio teneramente
Antonio

Carissima Tania,
ho avuto notizie della tua salute e anche della tua impazienza di uscire dalla clinica. Questa tua impazienza mi pare poco assennata. Mi dispiace proprio di essere nell’impossibilità di adoperare dei mezzi piú persuasivi che le parole per costringerti a curarti razionalmente; ciò che mi fa
diventare ferocissimo è il fatto che proprio tu mi hai predicato con tanta tenacia di curarmi, di curarmi, di curarmi. Ti pare giusto? In questo caso mi sento kantiano fino alla punta dei capelli:
«Non domandare agli altri di fare ciò che non saresti disposto a fare tu stesso». Poiché le nostre condizioni sono le stesse. Tu, poi, sei indubbiamente piú convinta di me della moralità delle massime assolute di Kant e dovresti inoltre ricordare il principio professionale: «Medice, cura te ipsum». Insomma, non devi costringermi a farti degli ultimatum. Perché sono capace non solo di interrompere le iniezioni, ma anche di non andare piú al colloquio se mi persuado della tua poca saggezza e di incaricare la signora Pina di tirarti ben bene i capelli.
Cara Tania, spero davvero che non farai niente che sia contrario ai consigli del medico. Il saperti indisposta aumenta le tante preoccupazioni che mi assillano; quando ho saputo che stavi male sono stato quattro o cinque giorni talmente furioso contro me stesso che non rivolgevo piú
neanche la parola a Tulli. Se vuoi che io sia tranquillo, devi mostrarmi di stare bene e sul serio, perché io non posso non pensare di essere la origine di ogni tuo malessere. E una cosa devi promettermi assolutamente. È possibile che io parta anche prima di rivederci: non è poi una cosa
molto grave, perché ci rivedremo a Roma. Tu devi fare il viaggio nelle migliori condizioni possibili.
Devi prendere un posto nell’espresso, con la cuccetta per dormire. Col biglietto di seconda classe, il letto costava 60 lire e non credo sia aumentato di prezzo: bisogna prenotarlo qualche giorno prima.
Lo farai? Me lo prometti? Vorrei accarezzarti: ti abbraccio teneramente
Antonio

Carissima mamma,
ho ricevuto la settimana scorsa due tue lettere: una del 25 gennaio e l’assicurata del 1° febbraio con le 200 lire. Una volta tanto la tua corrispondenza è arrivata con una certa onestà di tempo.
Ti assicuro che le mie condizioni di salute sono abbastanza buone; se ho scritto solo dei bigliettini, la volta scorsa, fu solo perché non ricevevo tue notizie. Da quindici giorni faccio delle iniezioni di bioplastina e ciò contribuirà, per lo meno, a mantenermi in forze. Del resto, ho
trascorso la prima metà dell’inverno senza troppe scosse. Un po’ di freddo, che mi ha fatto venire dei geloni, che non avevo mai avuto: si vede che divento vecchio e che il sangue si è alquanto raffreddato. – Le tue due lettere mi hanno un po’ fatto andare in collera. Spero che non farai dire
delle messe per il buon esito del mio processo! Non devi preoccuparti di queste cose. Io sono tranquillissimo e lo sarò ancora di più se avrò la sicurezza che tu sei tranquilla e serena. E perché non dovresti esserlo? La sorte che mi attende, come tu dici, non è poi spaventevole: è una semplice
questione di tempo e di pazienza.
Ringrazia tanto Carlo per l’assicurata. Abbraccia tutti affettuosamente e tu ricevi tanti tanti abbracci
Nino

Tatiana si è ammalata e si trova all’ospedale un’altra volta; il cattivo clima di Milano e le fatiche che fa per portarmi ogni giorno da mangiare, sono certamente la causa del suo male. Cosí mi pare che io, nonostante la prigione, sono quello che sta meglio di tutti. Adesso Tatiana sta
meglio, ha superato la fase critica di una bronco-polmonite. Le notizie ultime dei bambini sono abbastanza buone.

Carissimo Berti,
ho ricevuto la tua lettera del 13 una settimana fa, quando però avevo già esaurito le due lettere regolamentari. Nessuna novità da parte mia. Il solito squallore e la solita monotonia. Anche la lettura diventa sempre piú indifferente. Naturalmente, leggo ancora molto, ma senza interesse,
meccanicamente. Nonostante che sia in compagnia, leggo un libro al giorno e anche piú. Libri disparati, come puoi immaginare (ho riletto persino L’ultimo dei Mohicani di Fenimore Cooper), cosí come li distribuisce la biblioteca a pagamento del carcere. In queste ultime settimane ho letto qualche libro arrivatomi dalla famiglia, ma nessuno di soverchio interesse. Te li enumero, tanto per farti passare il tempo.
1. Le Vatican et l’Action Française. Si tratta del cosí detto «libro giallo» dell’«Action Française»; una raccolta di articoli, discorsi e circolari che conoscevo in gran parte, perché usciti nell’«Act. Franç.» del 1926. La sostanza politica del conflitto è nel libro mascherata con sette e
sette veli. Appare solo la discussione «canonica» sulla cosí detta «materia mista» e sulla «giusta (secondo i canoni) libertà» dei fedeli. Tu sai di che cosa si tratta: esiste in Francia una organizzazione cattolica di massa, sul tipo dell’«Azione Cattolica» nostrana, presieduta dal generale
di Castelnau. Fino alla crisi politica francese del 1926, i nazionalisti, di fatto, erano il solo partito politico che organicamente si innestasse in questa organizzazione e ne sfruttasse le possibilità (4-5 milioni di sottoscrizioni annue, per esempio). Cioè tutte le forze cattoliche erano esposte ai contraccolpi delle avventure di Maurras e Daudet, che nel 1926 avevano già pronto il governo provvisorio da issare al potere in caso di collasso. Il Vat., che prevedeva invece una nuova ondata di leggi anticlericali tipo Combes, ha voluto dimostrativamente rompere con l’«Act. Franç.» e lavorare per la organizzazione di un partito cattolico democratico di massa che avesse la funzione di un Centro parlamentare, secondo la politica Briand-Poincaré. – Nell’«Act. Franç.» per ragioni
ovvie, uscivano solo gli articoli mezzo-ossequienti e moderati: gli attacchi violenti e personali erano riserbati allo «Chiarivari» pubblicazione settimanale che non ha l’equivalente fra noi e che non era ufficialmente di Partito; ma questa sezione delle polemiche non è riportata nel libro. – Ho
visto che gli ortodossi hanno pubblicato una risposta al «libro giallo», compilata da Jacques Maritain, professore all’Università cattolica di Parigi e capo riconosciuto degli intellettuali ortodossi: ciò significa che il Vaticano ha registrato un successo notevole, perché nel ’26 il Maritain aveva scritto un libro per difendere Maurras e aveva prima firmato una dichiarazione nello stesso senso: oggi dunque, questi intellettuali si sono scissi e l’isolamento dei monarchici deve avere progredito.
Un libro di Alessandro Zévaès, Storia della terza repubblica – La Francia dal settembre 1870 al 1926 – superficialissimo, ma divertente. Aneddoti, larghe citazioni ecc. Serve per ricordare gli avvenimenti piú importanti della vita parlamentare e giornalistica francese. R. Michels, La Francia contemporanea. È una truffa libraria. Si tratta di una raccolta, senza
nesso, di articoli su alcuni aspetti parzialissimi della vita francese. Il Michels crede, poiché è nato nella Prussia renana, zona di confluenza tra romanesimo e germanesimo, di essere destinato a cementare l’amicizia tra tedeschi e neolatini, unendo in sé i peggiori caratteri dell’una e dell’altra
cultura: la mutria del filisteo teutonico e la fatuità sciagurata del meridionalismo. Eppoi quest’uomo che mette in vista come una coccarda il suo rinnegamento della razza germanica e si vanta di aver dato nome Mario a un suo figlio per ricordo della sconfitta dei Cimbri e dei Teutoni, mi dà l’impressione dell’ipocrisia piú sopraffina a scopi di carriera accademica.
Raccolta di scritti per il centenario di Goffredo Mameli (Gentile, ecc.). – La seconda edizione dei Mille di Francesco Crispi – il piú interessante di tutti. – Ed ecco tutto, poiché non ti voglio parlare di qualche altro meno notevole, di carattere romantico. Scrivimi quando puoi; ma credo che le tue possibilità sono ancora inferiori alle mie.
Cordialmente
Antonio
Tulli ti saluta – Devo correggere un errore, contenuto in una mia lettera di quando eri ad Ustica. Ti indicavo un libro sul metodo storico, attribuendolo a un Bernstein, mentre invece si trattava di un Bernheim: la memoria mi serve proprio male, perché questo volume mi è servito per
due anni come testo scolastico: si vede che sono invecchiato piú di quanto supponessi. Il nome esatto è rigalleggiato all’improvviso e senza ragione di nesso e ho voluto, per scrupolo, avvertirtene.
Saluti affettuosi.

Carissima Tania,
spero che tu sia già ristabilita, mentre leggi. Penso di essere stato in parte la causa del tuo malessere. Avrei dovuto insistere con maggiore energia per farti ripartire e non permettere che trascorressi la cattiva stagione a Milano. Queste nebbie e questa umidità sono deleterie per un
temperamento come il tuo. Veramente sono pieno di rimorsi. Eppoi, tu, che mi predichi ogni settimana di curarmi, di mangiare ecc. ecc., non devi avere nessuna cura di te stessa e devi sperperare le tue energie in un mucchio di movimenti inutili o almeno non necessari. Basta. Non
voglio ancora scriverti dei rimproveri. Ho già l’impressione che la mia lettera di 15 giorni fa abbia immediatamente contribuito a farti star male. Vorrei invece farti stare allegra, o almeno farti sorridere. Ma non è facile per me, in questo momento. Il saperti indisposta costringe il corso dei
miei pensieri in un solco poco allegro e d’altronde non voglio fare il «giornalista» con te. Spero di vederti al colloquio prima ancora che abbia ricevuto questa lettera.
Ti abbraccio teneramente
Antonio