Carissimo Carlo,
ho ricevuto un mucchio di cose: i medicinali, le 200 lire, ecc. Ti ringrazio di cuore. Il medico mi ha detto che il Siero Casali mi farà certamente bene. Pare sia la cura piú appropriata. Per Natale è venuta a Turi Tatiana; si è trattenuta abbastanza per avere alcuni colloqui. Mi è dispiaciuto
che proprio nei giorni di Natale mi sia sentito poco bene. Ho avuto un attacco di uricemia, con grandi dolori alle reni, alle viscere e alla vescica, che però è già in via di dileguarsi. Cosí temo che Tatiana abbia avuto una impressione falsa della mia condizione generale di salute. In realtà questo è un male doloroso solo quando si fa acuto; ciò che può avvenire di raro, purché si stia attenti a escludere dall’alimentazione ogni cibo irritante o riscaldante. D’ora innanzi starò ancora piú attento che per il passato e spero di evitare ogni altra occasione. La visita di Tatiana, a parte questo
contrattempo, mi ha fatto molto piacere, come puoi immaginare.
Ho ricevuto la lettera di mamma del 24, col biglietto e la figurina di Edmea. Sono contento che la mamma stia meglio e vada rimettendosi. Bacia tanto Edmea da parte mia, con qualche leggero pizzicotto nelle parti grasse, e ringraziala delle sue espressioni molto gentili e molto ben
dette. Però mi pare che ella, se compone abbastanza bene e sa mettere in frasi spontanee e vive i suoi sentimenti, commette un numero di strafalcioni d’ortografia troppo grande anche per una scolara che è appena in terza. Dev’essere poco attenta e sempre piena di fretta: penso che anche nel parlare, qualche volta rassomigli a un mulinello e si mangi la metà delle parole, inghiottendo l’r con particolare gusto. Bisogna stare attenti a farle fare i compiti con diligenza e con molta disciplina.
Nelle scuole sarde di villaggio avviene che una bambina, o un bambino, che in casa è stato abituato a parlare l’italiano (anche se poco e male), per questo solo fatto si trova ad essere superiore ai suoi condiscepoli, che conoscono solo il sardo e quindi imparano a leggere e a scrivere, a parlare, a comporre in una lingua completamente nuova. I primi sembra che siano piú intelligenti e vispi, mentre qualche volta non è, e perciò in famiglia e a scuola, si trascura di abituarli al lavoro metodico e disciplinato, pensando che con l’«intelligenza» supereranno tutte le difficoltà ecc. Ora l’ortografia è proprio il punto dell’asino di questa intelligenza. Se Mea non studia bene e non si corregge di questa deficienza, cosa si potrà pensare? Si potrà pensare che si tratti di una di quelle
tante bambine che hanno i nastrini ai capelli, le vestine bene stirate ecc. e poi hanno le mutandine sporche. Diteglielo con un certo garbo, per non farle troppo dispiacere. La sua figurina non mi piace per nulla: non c’è nessuna spontaneità e nessun gusto. Eppure sarebbe tanto bene che
imparasse un po’ di disegno.
Caro Carlo, non devi preoccuparti troppo dei denari che mi mandi. Non devi fare sciocchezze inutili. Sai che io sono molto positivo e pratico in queste cose. Ho adesso al libretto 950 lire, depurate di ogni gravame (la cassa l’ho già pagata). Ciò significa che bisogni urgenti non posso averne e che tu non devi stare in pensiero se per qualche mese non ti è comodo mandarmi neanche un soldo. Ti pare? Tanti auguri a tutti per il nuovo anno. Baci affettuosi
Antonio

Carissimo Carlo,
ho ricevuto, nello scorso mese, scarsissime notizie da voi tutti: – una lettera della mamma dell’8 novembre e una tua dell’11, poi piú nulla (ho ricevuto naturalmente, le calze, le sigarette e piú tardi la nasalina e la rinoleina). Perché mi lasciate tanto tempo senza informazioni, specialmente in un periodo di malattia della mamma? Capisco che non si scrivano delle lunghe lettere: può mancare la voglia o il materiale che si ritiene interessante; ma basterebbe scrivere piú spesso qualche
cartolina con poche righe di notizie essenziali!
Ti prego di scrivere a Tatiana per riferirle queste cosette che mi domanda pressantemente: – ho depositato al libretto 930 lire, che però alla fine del mese si ridurranno a circa 700 lire, perché oltre alle spese ordinarie dovrò pagare una cassa che mi sono fatto costruire e che non so quanto
costerà, ma immagino piú di 50 lire. Il mese scorso ho speso esattamente 120 lire. Quando giunsi a Turi avevo 650 lire. A Roma non fu depositato niente per me. Ecco il consuntivo essenziale. Per ciò che riguarda il preventivo: penso che sia bene avere a libretto un fondo stabile di almeno 700 lire, per ogni evenienza straordinaria, come sarebbe, per esempio una malattia, per la quale dovessi andare all’ospedale, un viaggio in traduzione, ecc. Poste cosí le cose, Tatiana può essere tranquilla e
non preoccuparsi delle mie finanze. Ti dico che mi dispiacerebbe se mi mandasse dei soldi, perché so come si sacrifica e finisce di rimetterci la salute. Perciò cerca di convincerla anche tu e di assicurarla. Dille che se mi occorresse qualche cosa, io certamente mi rivolgerò a lei, ma che per
ora non ho proprio bisogno di nulla.
Cosí non deve preoccuparsi di fare pratiche per far aumentare la somma che è concesso spendere giornalmente. Non ne vale la pena, perché non c’è nulla da comprare. Turi è un piccolo centro agricolo e non brilla certo per un mercato ricco; inoltre la stragrande maggioranza dei reclusi
credo che non possa spendere nulla, per mancanza di mezzi, per cui il campionario delle cose in vendita è limitatissimo. Questo in linea di fatto. In linea di principio poi: non bisogna mai domandare piú di una cosa, se non si vuole passare per scocciatori professionali, e non essere presi
sul serio per nulla. Ora è in corso la pratica per lo scrivere. Questa pratica basta.
Tatiana mi ha disilluso; credevo fosse piú sobria nell’immaginazione e piú pratica. Vedo invece che si fa dei romanzi, come quello che sia possibile che la reclusione venga trasformata, per ragioni di salute, in confino: possibile in via ordinaria, già si intende, cioè in virtù delle leggi e
regolamenti scritti. Ciò sarebbe possibile solo per via di una misura personale di grazia, che sarebbe concessa, già s’intende, solo dietro domanda motivata per cambiamento di opinioni e riconoscimento ecc. ecc. Tatiana non pensa a tutto ciò: è di una ingenuità candida che mi spaventa qualche volta, perché io non ho nessuna intenzione né di inginocchiarmi dinanzi a chicchessia, né di mutare di una linea la mia condotta. Io sono abbastanza stoico per prospettarmi con la massima
tranquillità tutte le conseguenze delle premesse suddette. Lo sapevo da un pezzo cosa poteva succedermi. La realtà mi ha confermato nella mia risoluzione, nonché scuotermi per nulla. Dato tutto ciò, occorre che Tatiana sappia che di simili romanzi non bisogna neanche parlare, perché il solo parlarne può far pensare che si tratti di approcci che io posso aver suggerito. Questa sola idea mi irrita. Fa il piacere di scrivere tu queste cose a Tatiana, perché se le scrivo io, temo di trascendere e di offendere la sua sensibilità. – Scrivile inoltre che a Milano io ho lasciato le
pantofole invernali e le sopracalze: davvero mi servirebbero, perché incomincia a far freddo.
Vorrei poi che tu mi mandassi il «siero Casali» come mi hai scritto una volta. Mi sento piú debole con l’avvicinarsi del freddo. Inoltre dovresti mandarmi dell’«Ovomaltina» in modo che la cura ricostituente sia piú completa. Regolati per la quantità, in modo da organizzare una cura
completa. – Dovresti poi mandarmi delle solette di feltro da mettere nelle scarpe, per evitare di rovinare le calze e anche per avere piú caldo. Mandandomi le sigarette, puoi mandarmi tutto.
Carissimo Carlo, scrivimi piú spesso; perché non mi scrivi sull’attività delle latterie sociali, in cui sei occupato? Mi interesserebbe molto.
Abbraccia la mamma molto affettuosamente. Baci a tutti. Cordialmente.
Antonio
(Per tua norma, in caso di smarrimento, in novembre non ho ricevuto denari da te).

Ti ringrazio della tua lettera sulle Latterie Sociali Cooperative. Mi piace che io possa rimanere della mia opinione sulle cause che hanno portato alle disgrazie di Pili. Naturalmente io non sapevo prima e non so adesso i particolari sullo svolgimento completo degli avvenimenti e sulla forma specifica che essi hanno assunto. Il fatto è che io non potevo seguire in nessun modo questi avvenimenti, all’ingrosso li ho indovinati, perché mi basavo su ciò che rappresentava Pili e sulle ripercussioni che la sua attività avrebbe avuto, e sulla colossale forza che gli si opponeva e che certamente non poteva rimanere inerte a contemplare la sua progressiva rovina. Mi pare che la sconfitta del Pili sia la sconfitta decisiva del P. S. d’A., che Pili cercava di acclimatare nelle nuove forme politiche attualmente dominanti: cosa di cui non ho mai dubitato.

 

Carissimo Carlo,
ho ricevuto la tua lettera del 23 settembre (assicurata), quella del 24, la lettera della mamma del 25 e la tua cartolina del 2 ottobre. Ti ringrazio delle 200 lire e delle notizie che tu e la mamma mi mandate sulla vita del paese. (A proposito: ho ricevuto l’atlantino, il catalogo del «Nuraghe» e le
sigarette). Devi sempre mandarmi notizie di Ghilarza: esse sono molto interessanti e significative.
Mi pare che se ne possa trarre questa conclusione. Mentre prima, in Sardegna, c’era una delinquenza di carattere prevalentemente occasionale e passionale, legata in modo indubbio ai costumi arretrati e a punti di vista popolari che se erano barbarici conservavano tuttavia un qualche
tratto di generosità e di grandezza, ora invece si va sviluppando una delinquenza tecnicamente organizzata, professionale, che segue piani prestabiliti, e prestabiliti da gruppi di mandanti che talvolta sono ricchi, che hanno una certa posizione sociale e che sono spinti a delinquere da una
perversione morale che non ha niente di simile con quella del classico banditismo sardo. È un segno dei tempi dei piú caratteristici e significativi. Cosí è significativo il diffondersi dei suicidi. –
Hai fatto male a comandare il libro di Goethe alla Libreria Sperling. Non credo che si riesca a trovare con la semplice indicazione del titolo, perché si tratta di una delle tantissime antologie goethiane stampate in Germania, il cui titolo è preso dal primo verso di una brevissima poesia. Io credo che sia veramente nella scansia di casa, perché ricordo di averlo visto nel 1924. D’altronde ti prego di non comandare mai libri per me alla Sperling, perché si sta formando una confusione incredibile. – Invece dovresti acquistarmi a Cagliari qualche numero della rivista «Mediterranea»;
la vedo spesso citata in altre pubblicazioni, per articoli di storia sarda, talvolta molto interessanti, ma non so dove sia stampata: credo a Cagliari. In ogni modo a Cagliari deve essere facile trovarla.
– Nella cartolina mi scrivi di non ricevere lettere da Tatiana. Tatiana mi scrive di aver scritto a te e alla mamma e di non aver ricevuto risposta. Ci deve essere stato qualche disguido. Non so, perciò, se sai che Tatiana si è trasferita a Milano, dove abita in via Plinio 34. Oggi stesso ho ricevuto una
sua raccomandata, contenente le fotografie dei bambini e una lettera di Giulia che dà notizie buone.
I bambini sono graziosi e stanno bene.
Sono contento che la salute della mamma e tua e di Grazietta sia migliorata. Alla mamma
vorrei osservare che mi pare che ci mette troppo piacere nello scrivermi che Edmea fa dei rimproveri alla sua mamma perché si è sposata. Che non c’entri per nulla la suggestione di ciò che sente dire intorno a sé? La situazione per voi è difficile e imbarazzante, lo comprendo,
specialmente ora che la bambina è cresciuta. Ma non vi pare che sia male di mettere, o di contribuire a mettere una figlioletta contro la sua mamma? E credete che quando Edmea sarà cresciuta e potrà veramente capire e giudicare, non potrà serbarvi rancore di averle instillato o di
non avere cercato di impedire che nascessero in lei dei sentimenti cosí morbosi. A me pare che la sua mamma abbia fatto benissimo a sposarsi. Per quanto mi consta è una brava donna che ha sempre lavorato e che è stata trattata molto male da Nannaro, non perché non abbia voluto sposarla,
s’intende, ma per altre cose molto brutte. Credete che un giorno Edmea non possa venire a sapere molte cose e sentire di aver oggi falsificato i suoi sentimenti? Scrivo queste cose perché io stesso ho sofferto da bambino per aver mal giudicato e alcune di queste sofferenze hanno lasciato una
cicatrice nella mia coscienza.
Informami della pratica che hai fatto o devi ancora fare per farmi ottenere la possibilità di scrivere. Non devi limitarti a scrivere all’avv. Niccolai; devi fare la pratica tu stesso, a nome della famiglia, presso il ministero. Io credevo che tu avresti fatto prima di me. Se avessi saputo, avrei fatto io stesso la pratica direttamente, attraverso la trafila carceraria. Pazienza. – Scrivimi piú spesso che puoi. La mia salute è sempre la stessa.
Abbracci affettuosi a tutti
Antonio

 

 

Carissimo Carlo,
ho ricevuto la tua assicurata del 27 agosto. Ti ringrazio. Forse Tatiana ti ha già comunicato che la mia situazione è molto migliorata per il fatto che mi trovo da qualche settimana solo in una cella. La quistione dell’avere la disponibilità della penna e della carta non ha fatto nessun passo in
avanti; non so quale risultato abbiano avuto le pratiche fatte da te e da Tatiana. In ogni modo devi sapere che tutto dipende dal Ministero, come mi fu assicurato anche dall’Ispettore che visitò recentemente le carceri di Turi, per cui io qui posso fare poco e ottenere nulla. È necessario che sia
tu ad insistere per ottenere il permesso, che non è escluso dal regolamento e che viene dato a parecchia gente in altre Case di Pena. Non credo che contro di me si voglia applicare una misura speciale di rigore.
Ho ricevuto il pacco. Non capisco le complicazioni che hai immaginato per le sigarette Macedonia tipo Esportazione, per le quali dici di aver scritto a Genova al porto franco. Esse sono in vendita da per tutto e non c’è bisogno di scrivere ad un porto franco. Chissà cosa mai hai creduto che desiderassi: qualche specialità straordinaria. Tieni sempre presente che io non domando mai niente di straordinario ed eccezionale.
Una raccomandazione devo fare a te che ho fatto a Tatiana abbastanza vivacemente. Di non iniziare nessuna pratica che mi riguardi e non mandarmi nulla, se prima non sono stato avvertito.
Tatiana mi ha fatto passare due brutte settimane, facendomi sapere di aver detto a qualche impiegato del Ministero che sarebbe stato bene trasferirmi da Turi a Soriano. Non so se anche tu sei stato d’accordo in questo affare. Ad ogni modo sei avvertito che tutte queste iniziative mi sono enormemente sgradite e che io non accetterò cambiamenti, per quanto mi è possibile. Non voglio piú viaggiare. L’ultimo viaggio mi ha ridotto uno straccio. Non puoi immaginare quanto abbia sofferto. L’irritazione del sangue e della pelle subita durante tutti i cambiamenti che il viaggio domanda fu tale che mi scoppiò il cosidetto «fuoco di S. Antonio», con sofferenze atroci. Ora mi
sto rimettendo, ma sono ancora mezzo abbrutito. Immagina quale impressione mi ha fatto il sapere di poter essere minacciato da un nuovo viaggio alla ventura. Ho scritto a Tatiana forse anche con troppa durezza. Ma ancora si faceva delle illusioni su un viaggio straordinario. Illusioni, perché in ultima analisi tutto dipende dai carabinieri e dalla Questura. Da Ustica a Milano dovevo fare il viaggio straordinario per ordine del Tribunale Speciale; rimasi in viaggio 20 giorni, e pernottai in 10 carceri. Da Milano a Roma il viaggio fu straordinario per la durata, ma rimasi 16 ore coi ferri
nel vagone cellulare per mancanza di carabinieri invece che in terza, come aveva ordinato il Tribunale, ci fecero viaggiare in cellulare, di notte, ciò che è proibito dal regolamento. Per il viaggio da Roma a Turi avevo un certificato del medico: al momento della partenza il certificato sparí e dovetti stare in viaggio 12 giorni, col «fuoco di S. Antonio» addosso. Eppoi non voglio viaggiare né mutare. Sei avvertito. – Scrivi a Tatiana che in una sua lettera del 1° settembre accenna a notizie sui bambini che avrei ricevuto e che invece non ho ricevuto per nulla, forse una lettera si è perduta. – Scrivile anche che tra i libri romani ci deve essere un libro intitolato: Gino
Piastru – La truffa garibaldina in Francia, che vorrei avere per ricostruire una conversazione amichevole avuta col giudice istruttore di Milano.
Mandami notizie un po’ dettagliate sulla salute della mamma che non mi ha piú scritto. Teresina non mi ha scritto ancora. – Tra i miei libri di Ghilarza ce n’è uno «Goethe, Über allen Gipfeln» (in tedesco, rilegato) che vorrei avere. – Saluta e bacia tutti di casa. Abbraccia tanto la mamma e falle tanti auguri. Vi abbraccio.
Antonio

Carissimo Carlo, sono giunto a Turi il 19 luglio; le prime due lettere le ho dovute scrivere a Tatiana per informarla di ciò che poteva mandarmi del bagaglio da me lasciato al carcere di Roma. Tatiana ha scritto di aver mandato una lettera alla mamma per darle mie notizie e trasmetterle le parti delle mie lettere che la potevano interessare. Bisogna che ti ricordi sempre e ricordi alla mamma che io posso scrivere una lettera ogni 15 giorni; perciò a voi posso scrivere una volta al mese per scrivere una volta al mese anche a Tatiana. Bisognerà aver pazienza. Vuol dire che Tatiana vi trasmetterà delle mie lettere a lei delle parti che vi possono interessare, e tu o la mamma trasmetterete a Tatiana ciò che può interessarle delle mie lettere a voi. 1) Ho ricevuto la tua assicurata del 12 luglio con le 250 lire; ti ringrazio. Ho ricevuto la lettera della mamma del 3 agosto: mi è dispiaciuto assai l’aver conosciuto cosí tardi la sua malattia. Faccio tanti auguri alla mamma per un suo ristabilimento rapido e sicuro. Tienimi informato sempre di tutto; Teresina non mi ha scritto. Ho ricevuto notizie di Giulia e dei bambini. Sono rientrati dalla campagna da qualche giorno; Giulia, che era debole, si è rimessa. I bambini stanno bene e si sviluppano. Riceverò le loro fotografie e scriverò perché una copia sia mandata anche alla mamma. Intanto la mamma non mi ha ancora mandato le sue impressioni sulla fotografia di Delio che le ho spedito da Milano e io ci tengo assai ad avere dei grandi complimenti. 2) Ti devi, appena hai un po’ di tempo disponibile, occupare di una pratica per me di grande importanza. Bisogna che tu domandi al ministero competente, a nome della mia famiglia (della mamma e tuo), che siano prese disposizioni perché io possa essere messo in una cella da solo, qui nel carcere (si chiama esattamente «Casa Penale Speciale di Turi»). Ora sono in una camerata con altri quattro, anch’essi condannati per reato politico, ma che hanno malattie ai bronchi e ai polmoni. Io non ho tali malattie e la promiscuità continuata, nonostante tutte le precauzioni (d’altronde molto difficili nella vita carceraria) potrebbe, specialmente nella prossima stagione, che acuisce i mali polmonari, avere conseguenze gravi. Io penso che non sia difficile ottenere ciò, dato che il Tribunale speciale mi ha condannato alla reclusione ma non ha specificato che essa debba essere aggravata dalla tubercolosi. Attraverso Tatiana puoi fare avvertire l’avv. Niccolai, in queste pratiche l’intervento di uno che vada negli uffici competenti vale piú di cento lettere. Aggiungi che io sono affetto da grave depressione nervosa e da insonnia, puoi immaginare quali notti io passi. Nella domanda aggiungi che il mio passato lavoro di intellettuale mi fa sentire fortemente la difficoltà allo studio e alla lettura che si trova quando si è in una camerata di tali ammalati e chiedi che andando da solo mi sia concesso di poter avere carta e inchiostro per dedicarmi a qualche lavoro di carattere letterario e allo studio delle lingue. Ricorda che io sono stato assegnato a Turi non per malattie polmonari, ma per uricemia cronica che mi ha rovinato la dentatura e lo stomaco e mi ha dato degli esaurimenti nervosi con seguito di emicranie e nevrastenia croniche. 3) Scrivi a Tatiana che non posso avere né vestiti né soprabiti: solo biancheria. O tu direttamente o attraverso Tatiana dovreste mandarmi: un pettine – due o tre fodere da cuscino – qualche pacchetto di sigarette Esportazione – per profumare il tabacco fammi mandare tre o quattro «fave americane» (si trovano nelle grandi farmacie di Roma). 4) Non so quali libri potresti mandarmi, per ora fammi mandare il catalogo della Casa Editrice «Il Nuraghe» e il Calendario-Atlante De Agostini. Scrivi subito a Tatiana per fare avvertire l’avv. Niccolai della pratica al Ministero di Giustizia e per salutarla tanto a mio nome. Rassicura la mamma sulle mie condizioni di salute. A Tatiana fa sapere che non ho ricevuto nulla ancora direttamente dalla libreria, ma solo tre pacchi rispediti da Roma; il mio nuovo indirizzo è stato comunicato? O la comunicazione è andata perduta? Scrivimi quanto puoi e fammi scrivere. Abbraccia tanto la mamma e tutti di casa. Affettuosamente. Antonio

Carissima Teresina,
ho ricevuto la tua lettera del 30 gennaio e la fotografia dei tuoi bambini. Ti ringrazio e sarò molto contento di ricevere altre tue lettere.
Il peggiore guaio della mia attuale vita è la noia. Queste giornate sempre uguali, queste ore e questi minuti che si succedono con la monotonia di uno stillicidio, hanno finito per corrodermi i nervi. Almeno i primi tre mesi dopo l’arresto furono molto movimentati: sballottato da un estremo
all’altro della penisola, sia pure con molte sofferenze fisiche, non avevo tempo di annoiarmi.
Sempre nuovi spettacoli da osservare, nuovi tipi d’eccezione da catalogare: davvero mi pareva di vivere in una novella fantastica. Ma ormai da piú di un anno sono fermo a Milano, in ozio forzato.
Posso leggere, ma non posso studiare, perché non mi è stato concesso di avere carta e penna a mia disposizione, neppure con tutta la sorveglianza domandata dal capo, dato che passo per essere un terribile individuo, capace di mettere il fuoco ai quattro angoli del paese o giú di lí. La
corrispondenza è la mia piú grande distrazione. Ma pochissima gente mi scrive. Da un mese poi mia cognata è ammalata e non ho neanche piú il colloquio settimanale con lei.
Mi preoccupa molto lo stato d’animo della mamma, d’altronde non so come fare per rassicurarla e consolarla. Vorrei infonderle la convinzione che io sono tranquillissimo, come realmente sono, ma vedo che non riesco. C’è tutta una zona di sentimento e di modi di pensare che
costituisce una specie di abisso tra noi. Per lei il mio incarceramento è una terribile disgrazia alquanto misteriosa nelle sue concatenazioni di cause ed effetti; per me è un episodio della lotta politica che si combatteva e si continuerà a combattere non solo in Italia, ma in tutto il mondo, per
chissà quanto tempo ancora. Io sono rimasto preso, cosí come durante la guerra si poteva cadere prigionieri, sapendo che questo poteva avvenire e che poteva avvenire anche di peggio. Ma temo che anche tu la pensi come la mamma e che queste spiegazioni ti rassomiglino a un indovinello
espresso ancora in una lingua sconosciuta.
Ho osservato a lungo la fotografia, confrontandola con quelle che mi avevi mandato prima.
– (Ho dovuto interrompere la lettera, per farmi fare la barba; non ricordo piú ciò che volevo scrivere e non ho voglia di ripensarci. Sarà per un’altra volta).
Saluti affettuosi a tutti. Ti abbraccio.
Nino

Carissimo Carlo,
ho ricevuto insieme la tua lettera del 30 agosto e l’assicurata del 2 settembre. Ti ringrazio di tutto cuore. Non so cosa ti ha scritto Mario; ho l’impressione che ti abbia troppo allarmato, mentre io pensavo che la sua visita avrebbe contribuito a rassicurare la mamma. Mi sono sbagliato. — La tua lettera del 30 agosto è poi addirittura drammatica. Ti voglio, d’ora innanzi, scrivere spesso, per cercare di convincerti che il tuo stato d’animo non è degno di un uomo (e tu non sei piú tanto giovane, ormai). È lo stato d’animo di chi è in preda al panico, di chi vede pericoli e minacce da tutte le parti, e perciò diventa impotente ad operare seriamente e a vincere le difficoltà reali, dopo averle bene determinate e circoscritte da quelle immaginarie che la sola fantasia ha creato. — E prima di tutto voglio dirti che tu e anche gli altri di casa non mi conoscete che ben poco e avete
perciò una opinione completamente sbagliata sulla mia forza di resistenza. Mi pare che siano quasi 22 anni da che io ho lasciato la famiglia; da 14 anni poi sono venuto a casa solo due volte, nel 20 e nel 24. Ora in tutto questo tempo non ho mai fatto il signore; tutt’altro; ho spesso attraversato dei
periodi cattivissimi e ho anche fatto la fame nel senso piú letterale della parola. A un certo punto questa cosa bisogna dirla, perché [ … ] si riesce a rassicurare. Probabilmente tu qualche volta mi hai un po’ invidiato perché mi è stato possibile studiare. Ma tu non sai certamente come io ho potuto
studiare. Ti voglio solo ricordare ciò che mi è successo negli anni dal 1910 al 1912. Nel 10, poiché Nannaro era impiegato a Cagliari, andai a stare con lui. Ricevetti la prima mesata, poi non ricevetti piú nulla: ero tutto a carico di Nannaro, che non guadagnava piú di 100 lire al mese. Cambiammo di pensione. Io ebbi una stanzetta che aveva perduto tutta la calce per l’umidità e aveva solo un finestrino che dava in una specie di pozzo, piú latrina che cortile. Mi accorsi subito che non si poteva andare avanti, per il malumore di Nannaro che se la prendeva sempre con me. Incominciai col non prendere piú il poco caffè al mattino, poi rimandai il pranzo sempre piú tardi e cosí risparmiavo la cena. Per 8 mesi circa mangiai cosí una sola volta al giorno e giunsi alla fine del 3° anno di liceo, in condizioni di denutrizione molto gravi. Solo alla fine dell’anno scolastico seppi che esisteva la borsa di studio del Collegio Carlo Alberto, ma nel concorso si doveva fare l’esame su tutte le materie dei tre anni di Liceo; dovevo perciò fare uno sforzo enorme nei tre mesi di vacanze.
Solo zio Serafino si accorse delle deplorevoli condizioni di debolezza in cui mi trovavo, e mi invitò a stare con lui ad Oristano, come ripetitore di Delio. Vi rimasi 1 mese ½ e per poco non divenni pazzo. Non potevo studiare per il concorso, dato che Delio mi assorbiva completamente e la
preoccupazione, unita alla debolezza, mi fulminava. Scappai di nascosto. Avevo solo un mese di tempo per studiare. Partii per Torino come se fossi in istato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza delle 100 lire avute da casa. C’era l’Esposizione e
dovevo pagare 3 lire al giorno solo per la stanza. Mi fu rimborsato il viaggio in seconda, un’ottantina di lire ma non c’era da ballare perché gli esami duravano circa 15 giorni e solo per la stanza dovevo spendere una cinquantina di lire. Non so come ho fatto a dar gli esami, perché sono
svenuto due o tre volte. Riuscii ma incominciarono i guai. Da casa tardarono circa due mesi a inviarmi le carte per l’iscrizione all’università, e siccome l’iscrizione era sospesa, erano sospese anche le 70 lire mensili della borsa. Mi salvò un bidello che mi trovò una pensione di 70 lire, dove
mi fecero credito; io ero cosí avvilito che volevo farmi rimpatriare dalla questura. Cosí ricevevo 70 lire e spendevo 70 lire per una pensione molto misera. E passai l’inverno senza soprabito, con un abitino da mezza stagione buono per Cagliari. Verso il marzo 1912 ero ridotto tanto male che non parlai piú per qualche mese: nel parlare sbagliavo le parole. Per di piú abitavo proprio sulle rive della Dora, e la nebbia gelata mi distruggeva.
Perché ti ho scritto tutto ciò? Perché ti convinca che mi sono trovato in condizioni terribili, senza perciò disperarmi, altre volte. Tutta questa vita mi ha rinsaldato il carattere. Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciando dall’inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare per la propria via. La mia posizione morale
è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l’eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo. Ti potrei raccontare qualche aneddoto divertente. Nei primi
mesi che ero qui a Milano, un agente di custodia mi domandò ingenuamente se era vero che io, se avessi cambiato bandiera, sarei stato ministro. Gli risposi sorridendo che ministro era un po’ troppo,
ma che sottosegretario alle Poste o ai Lavori Pubblici avrei potuto esserlo, dato che tali erano gli incarichi che nei governi si davano ai deputati sardi. Scosse le spalle e mi domandò perché dunque non avevo cambiato bandiera, toccandosi la fronte col dito. Aveva preso sul serio la mia risposta e mi credeva matto da legare.
Dunque, allegro, e non lasciarti sommergere dall’ambiente paesano e sardo: bisogna sempre essere superiori all’ambiente in cui si vive, senza perciò disprezzarlo o credersi superiori. Capire e ragionare, non piagnucolare come donnette! Hai capito? Devo proprio essere io, che sono in prigione, con delle prospettive abbastanza brutte, a far coraggio a un giovanotto che può muoversi liberamente, può esplicare la sua intelligenza nel lavoro quotidiano e rendersi utile?
Ti abbraccio affettuosamente insieme con tutti di casa.
Nino

Ciò che hai promesso di mandarmi, mandalo appena puoi, perché ne ho proprio bisogno. Spero in seguito di non dover piú ricorrere al tuo aiuto.

Cara Grazietta,
spero che queste righe ti trovino ancora ad Oristano. Mi dici d’avermi scritto altre cose. Ti dò la mia parola, che quando ti risposi era la prima volta che ricevevo da te direttamente qualche notizia. Credi pure che sono meno indifferente e meno pigro di quanto possa apparire a qualcuno. O dio, non sono un mostro di espansione e spesso mi ci vuole per scrivere una parola affettuosa, ma non te e quelli di casa dovrete meravigliarvi di questo fatto. Bacia tanto la figliolina di zio Serafino e saluta tutti gli zii e la coorte delle zie, e di’ loro che mi scrivano qualche volta ed io risponderò:
scrivere a tutti è impossibile; scegliere fra i tanti non è cortese; perciò, se proprio può a qualcuno importare che io viva e vesta panni, aspetto di conoscere questo qualcuno. Ma io ci credo poco.
Baci infiniti a tutti.
Nino
Questa lettera a Grazietta, s. d., sembra compresa tra il 29 agosto 1927 («Mi dispiace che Grazietta stia sempre male; perché non mi scrive qualche volta?», lettera alla madre) e il 29 dicembre 1930, data della prima lettera pervenutaci di G. a Grazietta. Nella lettera si legge infatti:
«Ti dò la mia parola, che quando ti risposi era la prima volta che ricevevo da te direttamente qualche notizia».

Carissima Teresina,
mi è stata consegnata solo pochi giorni fa la lettera che mi avevi inviato a Ustica e che conteneva la fotografia di Franco. Ho cosí potuto vedere finalmente il tuo bimbetto e te ne faccio tutte le mie congratulazioni; mi manderai, è vero?, anche la fotografia della Mimí e cosí sarò
proprio contento. Mi ha colpito molto che Franco, almeno dalla fotografia, rassomigli pochissimo alla nostra famiglia: deve rassomigliare a Paolo e alla sua stirpe campidanese e forse addirittura maurreddina: e Mimí a chi somiglia? Devi scrivermi a lungo intorno ai tuoi bambini, se hai tempo, o almeno farmi scrivere da Carlo o da Grazietta. Franco mi pare molto vispo e intelligente: penso che parli già correntemente. In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli
darete dei dispiaceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse liberamente in sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambini. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene che i bambini imparino piú lingue, se è possibile. Poi, l’italiano, che voi gli insegnerete, sarà una
lingua povera, monca, fatta solo di quelle poche frasi e parole delle vostre conversazioni con lui, puramente infantile; egli non avrà contatto con l’ambiente generale e finirà con l’apprendere due gerghi e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi e un gergo sardo,
appreso a pezzi e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con la gente che incontra per la strada o in piazza. Ti raccomando, proprio di cuore, di non commettere un tale errore e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro.
Delio e Giuliano sono stati male in questi ultimi tempi: hanno avuto la febbre spagnola; mi scrivono che ora si sono rimessi e stanno bene. Vedi, per esempio, Delio: ha incominciato col parlare la lingua della madre, come era naturale e necessario, ma rapidamente è andato
apprendendo anche l’italiano e cantava ancora delle canzoncine in francese, senza perciò confondersi o confondere le parole dell’una e dell’altra lingua. Io volevo insegnarli anche a cantare: «Lassa sa figu, puzone», ma specialmente le zie si sono opposte energicamente. Mi sono divertito molto con Delio nell’agosto scorso: siamo stati insieme una settimana al Trafoi, nell’Alto Adige, in una casetta di contadini tedeschi. Delio compiva proprio allora due anni, ma era già molto sviluppato intellettualmente. Cantava con molto vigore una canzone: «Abbasso i frati, abbasso i preti», poi cantava in italiano: «Il sole mio sta in fronte a te» e una canzoncina francese, dove c’entrava un mulino. Era diventato appassionato per la ricerca delle fragole nei boschi e voleva
andar sempre dietro agli animali. Il suo amore per gli animali veniva sfruttato in due modi: per la musica, in quanto si ingegnava a riprodurre sul pianoforte la gamma musicale secondo le voci degli animali, dall’orso baritonale all’acuto del pulcino e per il disegno. Ogni giorno, quando andavo da lui, a Roma, bisognava ripetere tutta la serie: primo bisognava mettere l’orologio a muro sul tavolo e fargli fare tutti i movimenti possibili; poi bisognava scrivere una lettera alla nonna materna con la
figura degli animali che lo avevano colpito nella giornata; poi si andava al piano e si faceva la sua musica animalesca, poi si giocava in vario modo.
Cara Teresina, hai osservato nella tua lettera che la prima mia lettera mandatavi da Roma, era piena di sconforto. Non credo di essere mai stato sconfortato come tu credi. Quella lettera la scrissi veramente in un brutto momento, relativamente; il giorno prima mi era stata comunicata la
misura dei cinque anni di confino di polizia e mi era stato detto che tra pochi giorni sarei partito per il Giúbaland, in Somalia. Certo in quella notte pensai parecchio alle mie possibilità fisiche di resistenza, che allora non avevo ancora potuto misurare e che valutavo poche; è possibile che nella lettera ci sia stato un riflesso di quegli stati d’animo. In ogni caso devi credere che, se pure allora potei avere, come tu dici, un po’ di sconforto, esso è passato rapidamente e non si è piú ripetuto.
Vedo tutto con molta freddezza e tranquillità e pur non facendomi illusioni puerili, sono fermamente convinto di non essere destinato a marcire in galera. Tu e gli altri dovete cercare di far stare allegra la mamma (dalla quale ho ricevuto una lettera alla quale non so come rispondere) e di assicurarla che la mia onorabilità e la mia rettitudine non sono affatto in quistione: io sono in carcere per ragioni politiche, non per ragioni di onorabilità. Credo proprio che avvenga l’inverso: se non tenessi alla mia onorabilità, alla mia rettitudine, alla mia dignità, se cioè fossi stato capace di avere una cosí detta crisi di coscienza e mutare d’opinione, non sarei stato arrestato e non sarei andato a Ustica, tanto per cominciare. Di questo dovete persuadere la mamma; mi preme molto.
Scrivimi e fammi scrivere da tutti: non ho piú visto neanche la firma di Grazietta; come sta?
Abbraccio Paolo affettuosamente; tanti baci a te e ai tuoi bambini
Nino